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Sottrazione di minori: è colpevole la madre che impedisce un sano rapporto tra padre e figlio

Sottrazione di minori: è colpevole la madre che impedisce un sano rapporto tra padre e figlio

Il nostro legislatore ha voluto dare tutela ai rapporti necessari tra genitori separati, divorziati o non più conviventi, ed i propri figli.

Il Codice Penale italiano, infatti, all’art. 574 prevede, in breve, che, chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la patria potestà, al tutore, o al curatore, o chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la potestà dei genitori, del tutore o curatore, con la reclusione da uno a tre anni.”

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 38558 dello scorso 23 settembre, ha ribadito il pensiero espresso dal Legislatore aderendo all’orientamento ormai maggioritario in materia, e condannando una madre alla pena di otto mesi di reclusione per il reato di cui all’art. 574 c.p. per aver sottratto la figlia minorenne alla funzione educativa e di vigilanza del padre: “Sussiste il reato di sottrazione di persone incapaci, punito dall’art. 574 c.p., qualora uno dei due genitori, in assenza di provvedimenti civili di affidamento esclusivo, sottragga il figlio minore di quattordici anni alla vigilanza e alla custodia dell’altro genitore in maniera tale da impedirgli l’esercizio della potestà genitoriale.”

La donna, con ripetute condotte e scelte unilaterali protrattesi per un rilevante periodo di tempo, tra le quali quella di iscrivere la bambina, all’insaputa dell’altro genitore, ad una scuola di un paese vicino a quello di residenza, aveva travalicato la linea di demarcazione tra una normale manifestazione dell’esercizio della propria potestà e il comportamento diretto a contrastare i diritti paterni impedendo, dunque, un equilibrato rapporto tra padre e figlia.
Per la Suprema Corte a nulla rileva l’eccezione difensiva della madre secondo la quale il padre si sarebbe interessato alla figlia solo sporadicamente per cui sarebbe stata la stessa minore a non volere avere rapporti col padre.
Il delitto di sottrazione di persone incapaci rientra tra quelli perpetrati ai danni della famiglia e ha natura plurioffensiva poiché lede non solo il diritto di chi esercita la potestà genitoriale ma anche l’integrità psicofisica del minore.

In particolare, per “sottrazione” si intende il trasferire il minore in un luogo diverso da quello in cui si trova l’altro genitore e senza il consenso di quest’ultimo mentre la “ritenzione” consiste nel trattenere l’incapace in un luogo per un periodo più lungo rispetto a quello consentito dall’esercente la potestà genitoriale.

In ogni caso, il reato è a forma libera per cui non è necessario che la condotta abbia particolari modalità di esecuzione purché essa determini un impedimento per l’esercizio delle diverse manifestazioni della potestà dell’altro genitore come, ad esempio, le funzioni educative, di assistenza, di cura e vicinanza affettiva.

Ai fini del riconoscimento della fattispecie criminosa in esame è richiesto il dolo generico consistente nella coscienza e volontà da parte dell’agente di portare via il minore all’altro genitore senza il suo consenso.
Una vicenda, quella oggetto di esame da parte degli “ermellini”, tutt’altro che inusuale specie nell’ambito di famiglie con coniugi separati ove i figli spesso diventano tristemente oggetto del contendere tra i genitori.
Pertanto, i giudici di legittimità ribadiscono uno dei principi fondamentali del diritto di famiglia ossia quello in base al quale, in mancanza di uno specifico provvedimento giudiziario che affidi il minore alla potestà esclusiva di un solo genitore, la madre e il padre sono entrambi in egual misura contitolari dei poteri- doveri disciplinati dal codice civile nei confronti dei propri figli.