STOP all’assegno di mantenimento se il figlio ha uno stipendio!
Nel nostro assetto sociale e culturale, ormai, i ragazzi del nuovo millennio, rispetto ai loro genitori, raggiungono l’autosufficienza economica più tardi (quando la raggiungono!!), rimanendo così a lungo a carico della loro famiglia di origine.
Questo fenomeno è sicuramente oggetto di un ampio dibattito, non solo politico/sociale, ma anche giuridico.
Sono proprio gli avvocati e i giudici, infatti, a chiedersi sino a quando un genitore debba continuare a mantenere il figlio, visto e considerato che la legge in primis non indica parametri precisi.
La giurisprudenza sia di merito sia di legittimità ha cercato di dare risposte più precise sul tema, esaminando un vasto numero di casi concreti.
Ma partiamo dal testo della legge.
Il dovere al mantenimento dei figli è sancito, innanzitutto, dall’art. 30 della Costituzione e dagli art. 147 e ss. c.c. che impongono ad ambedue i genitori l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo; non prevedendo alcuna cessazione per via del raggiungimento della maggiore età.
Tuttavia, se il raggiungimento della maggiore età dei figli non rappresenta lo spartiacque per l’obbligo dei genitori di contribuire al loro mantenimento, d’altro canto non si tratta di un dovere protratto all’infinito, essendo soggetto al parametro generale del raggiungimento dell’autosufficienza economica.
Autosufficienza che permetta al figlio di poter provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita.
In merito, è orientamento consolidato della giurisprudenza quello per cui lo status di indipendenza economica del figlio può considerarsi raggiunto in presenza di un impiego tale da garantirgli un reddito corrispondente alla sua professionalità e un’appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue attitudini e aspirazioni.
E’ pacifico che l’obbligo di mantenimento perdura sino a quando il mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica non sia causato da negligenza o non dipenda da fatto imputabile al figlio.
Al contrario, il genitore sarà esonerato dalla corresponsione dell’assegno laddove, posto in concreto nelle condizioni di raggiungere l’autonomia economica dai genitori, il figlio maggiorenne abbia opposto rifiuto ingiustificato alle opportunità di lavoro offerte, ovvero abbia dimostrato colpevole inerzia prorogando il percorso di studi senza alcun rendimento.
Per tutti questi motivi, la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo:
– all’età;
– all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica;
– all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa ed, in particolare;
– alla complessiva condotta personale tenuta da parte dell’avente diritto dal raggiungimento della maggior età.
Sulla scorta di ciò, diversi Tribunali, hanno revocato l’assegno di mantenimento del padre in favore dei figli maggiorenni, per aver questi “cominciato a lavorare con contratti di lavoro che, seppur a tempo determinato, si sono susseguiti con continuità”.
Per quanto lo stipendio sia modesto, non può ritenersi che (…) possa, al momento, ambire a una situazione lavorativa migliore, data la sua bassa formazione professionale e dato il notorio stato dell’occupazione giovanile“.
D’altra parte – proseguono i Giudici di merito – “fatta da (…) la scelta di lasciare gli studi e di lavorare, non può essere operato un raffronto tra le sue condizioni economiche e quelle dei genitori, proprio perché sono venuti meno gli obblighi di questi ultimi“.
La ratio dell’assegno di mantenimento è quella di tutelare i figli e il coniuge economicamente più debole di fronte agli squilibri determinati dalla separazione e dal divorzio, garantendo la prosecuzione di quei doveri assistenziali e solidaristici nascenti dal matrimonio attraverso il ripristino delle condizioni economiche e del tenore di vita esistente prima della cessazione del rapporto coniugale.
Tuttavia, l’assegno di mantenimento non è immutabile nel tempo, ma, al variare delle condizioni che secondo la legge fanno sorgere il relativo diritto, può essere modificato o addirittura revocato.
Relativamente alla perdita del diritto al mantenimento, occorre distinguere l’obbligo nei confronti dei figli da quello nei confronti dell’altro coniuge.
Riguardo ai figli, è pacifico, infatti, che l’obbligo dei genitori di contribuire al loro mantenimento permane, indipendentemente dal raggiungimento della maggiore età, fino al raggiungimento di un’autosufficienza economica tale da poter provvedere da soli alle proprie esigenze di vita, con la percezione “di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato” (Cass. n. 20137/2013).
Sul punto, è indirizzo costante e unanime della giurisprudenza che il genitore che deduca la cessazione del diritto all’assegno di mantenimento nei confronti del figlio maggiorenne, debba provare che la mancata autosufficienza derivi dall’inerzia o dalla negligenza dello stesso ovvero dipenda da fatto a lui imputabile (Cass. n. 7970/2013), mentre non rileva, ai fini dell’esclusione dell’assegno, la costituzione di un nucleo familiare, salvo che non si tratti “di una nuova entità familiare autonoma e finanziariamente indipendente” (Cass. n. 1830/2011).
Il mantenimento non viene meno automaticamente con il sopravvenire dei fatti estintivi dell’obbligo, ma in seguito all’intervento dell’autorità giudiziaria con l’emanazione di una sentenza che accerta l’estinzione dell’obbligazione (ex art. 710 c.p.c.) o che omologa le modifiche effettuate dai coniugi.
Il coniuge obbligato, pertanto, non può di sua iniziativa smettere di versare l’assegno di mantenimento, potendo incorrere nelle sanzioni previste per il mancato adempimento (Cass. n. 23441/2013), poiché il diritto a percepire l’assegno da parte di un coniuge e il corrispondente obbligo a versarlo dell’altro, “conservano la loro efficacia sino a quando non intervenga la modificazione di tali provvedimenti, essendo del tutto irrilevante il momento in cui – di fatto – sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dello stesso assegno, con la conseguenza, che gli effetti della decisione giurisdizionale di modificazione possono retroagire non già al momento dell’accadimento innovativo, ma alla data della domanda di modificazione” (Cass. n. 19589/2011).