Cause estintive dell’assegno di mantenimento all’ex coniuge
Ad un certo punto della relazione coniugale, seppur conclusa, uno dei coniugi ha un cambiamento nella sua vita che lo porta a perdere il diritto di ricevere l’assegno di mantenimento stabilito in precedenza (in maniera consensuale o giudiziale).
Le cause estintive del diritto al mantenimento possono essere diverse.
1) Addebito della separazione
Ex art. 151, 2 comma c.c., il giudice può addebitare la separazione ad uno dei coniugi, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio, purchè si tratti di violazioni tali “da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole”
(violazioni di diritti della personalità del coniuge; violazione degli obblighi di fedeltà, coabitazione, assistenza e collaborazione, ecc.) .
L’effetto principale della pronuncia di addebito è la perdita del diritto all’assegno di mantenimento ex art. 156, 1° comma, c.c. (oltre alla perdita dei diritti successori nei confronti dell’altro coniuge).
Il coniuge a cui viene addebitata la separazione, invece, conserva l’obbligo di mantenere l’altro coniuge e i figli, e, ove ne ricorrano i presupposti, ha diritto al versamento degli alimenti ex art. 433 e seguenti c.c.
2) Redditi propri e capacità di spesa
Il diritto del coniuge “economicamente debole” di ricevere dall’altro quanto necessario al proprio mantenimento, è basato sul presupposto della mancanza di adeguati redditi propri, intendendo pertanto non solo l’assenza di alcun tipo di reddito (ad esempio in caso di disoccupazione) e, in precedenza, anche l’assenza di titolarità di redditi che non consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello di cui lo stesso ha goduto in costanza di matrimonio.
In merito, occorre sottolineare che, precedentemente, le capacità lavorative del coniuge o le possibilità di percepire un reddito, valutate in astratto, non costituiscono elemento che possa concorrere all’esonero dell’assegno, considerato che il diritto al mantenimento del coniuge debole non è legato all’incapacità lavorativa, bensì all’esigenza di conservare un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio (Cass. n. 3502/2013).
Con la “rivoluzionaria” sentenza del 10 maggio 2017 n. 11504 scatta il diritto all’assegno divorzile solamente per mancanza di mezzi adeguati oppure per impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica desunta da quattro indici, ovvero:
– possesso di redditi;
– di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari;
– capacità e possibilità effettive di lavoro;
– stabile disponibilità di una casa di abitazione.
Non rileva più, come visto in precedenza, il parametro dello stile di vita coniugale, per cui non vi sarà diritto all’assegno (e se lo si percepisce se ne rischia la revoca) per chi sia autosufficiente o possa diventarlo, anche se non riesca a conservare gli agi goduti durante il matrimonio.
Non possono, invece, considerarsi redditi, gli aiuti da parte dei familiari (regali, donazioni), poiché sugli stessi il coniuge non può fare affidamento costante né avanzare pretese.
L’assegno può, infine, venir meno ove il coniuge beneficiario acquisti, iure hereditatis, la proprietà o la comproprietà di un immobile o comunque un’eredità consistente, tale da assicurare un miglioramento economico che possa garantirgli un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio (Cass. n. 932/2014; n. 18367/2006), mentre un’eredità di modesto valore “non altera l’equilibrio raggiunto con la determinazione dell’assegno” (Cass. n. 20408/2011).
3) Convivenza e nuove nozze
È pacifico che l’eventuale costituzione di una nuova famiglia, anche di fatto, ivi compresa la presenza di figli nati da tale unione, da parte del coniuge, separato o divorziato, tenuto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento, non legittima di per sé l’esonero dell’obbligo nei confronti dei figli né dell’ex coniuge, poiché espressione di una libera scelta che lascia inalterata la consistenza degli obblighi determinati in sede di separazione o divorzio (Cass. n. 12212/2001), potendo semmai influire sulla modifica del valore dell’assegno in base al miglioramento o al peggioramento delle sue condizioni economiche (Cass. n. 24056/2006).
Per contro, invece, quando chi a costituire un nuovo nucleo familiare è l’avente diritto all’assegno di mantenimento, assume rilievo non solo la circostanza del passaggio a nuove nozze che determina la perdita del diritto all’assegno di mantenimento e di quello divorzile, ma anche la mera convivenza, posto che la situazione modifica la condizione personale dell’ex coniuge.
Sul punto, la Cassazione ha affermato che il diritto al mantenimento viene meno quando si crea una nuova famiglia, ancorché di fatto, la quale rescinde ogni connessione con la pregressa vita matrimoniale, poiché la convivenza e la relativa prestazione di assistenza da parte del convivente medesimo, costituisce elemento da valutare in ordine alla disponibilità di “mezzi adeguati“, rispetto al parametro rappresentato dal tenore di vita goduto nel corso delle nozze (Cass. n. 25845/2013).
Ovviamente, deve trattarsi di una relazione avente i caratteri della stabilità, della continuità e della regolarità, mentre una convivenza priva di questi requisiti non potrà avere alcun effetto sull’esclusione del contributo al mantenimento.
4) Morte del coniuge
L’assegno di mantenimento si estingue nel momento della morte di colui che è obbligato a versarlo.
Tuttavia, l’avente diritto può ottenere una quota dell’eredità proporzionale alla somma percepita con l’assegno periodico, da quantificarsi sulla base del quantum ricevuto sino al momento della morte, dell’entità del bisogno, della consistenza dell’eredità e del numero e delle condizioni economiche degli eredi.
Anche il coniuge divorziato percettore dell’assegno divorzile, pur perdendo in ragione del divorzio stesso i diritti successori nei confronti dell’altro coniuge, può rivalersi sull’eredità dell’ex compagno scomparso, avendo diritto a percepire un “assegno successorio” a carico dell’eredità (tenuto conto dell’importo dell’assegno di divorzio, dell’entità del bisogno, dell’eventuale pensione di reversibilità e delle sostanze ereditarie e salvo che il coniuge non abbia ricevuto la corresponsione in unica soluzione, poiché in tal caso non ne ha diritto).
5) Il provvedimento del giudice
6) Rinuncia all’assegno
È opportuno rilevare, infine, come, in conseguenza del cambiamento delle proprie condizioni di vita, il coniuge avente diritto possa rinunciare all’assegno di mantenimento, formulando espressa dichiarazione che dà atto della propria indipendenza economica e della volontà di non pretendere il versamento di alcuna somma a titolo di mantenimento.
In ogni caso, la rinuncia operata in sede di separazione, non comporta l’automatica esclusione dell’assegno divorzile (Cass. n. 4424/2008).
Analogamente, anche l’assegno divorzile può essere oggetto di rinuncia, tuttavia, se sopraggiunge uno stato di bisogno successivo, sarà possibile revisionare le decisioni assunte precedentemente dal tribunale.
Resta fermo, invece, il divieto di rinunciare all’assegno, quando questo abbia natura alimentare, poiché trattasi di diritto indisponibile ex art. 443 c.c.
IN CONCLUSIONE
In ogni momento, quando dovessero sopraggiungere “fatti nuovi sopravvenuti”, è sempre possibile chiedere ed ottenere dal giudice la sospensione oppure la riduzione dell’importo dell’assegno di mantenimento in favore dell’ex coniuge (e/o dei figli minori o maggiorenni non ancora autosufficienti).
Rivedere l’assegno significa aggiornarne l’importo, viste e considerate le mutate condizioni economiche delle parti.
Sarà, pertanto, necessario ottenere un provvedimento del giudice che possa autorizzare la modifica delle precedenti condizioni economiche; ciò in quanto il soggetto obbligato al versamento del mantenimento non ha facoltà di poter ridurre oppure sospendere il pagamento stesso.
È possibile richiedere la modifica dell’importo dell’assegno di mantenimento tramite:
– procedura dinanzi al giudice quando ricorrano giustificati motivi sopravvenuti rispetto al precedente provvedimento; ciò avviene nel caso di disaccordo tra coniugi;
– accordo tra coniugi (anche senza giustificati motivi), tramite il procedimento di negoziazione assistita.
A mero titolo esemplificativo possono costituire cause di modifica e/o revisione dell’importo dell’assegno:
– motivi di salute;
– cambiamento condizioni economiche di un coniuge in peggio (ad esempio un licenziamento) oppure in meglio (ad esempio aumento di retribuzione);
– nuova famiglia, ovvero convivenza stabile, equiparabile a quella matrimoniale;
– nascita figli