Quando la madre pregiudica un sano rapporto affettivo dei figli con il padre…
Lo sappiamo, anche se non apertamente dichiarato, la giurisprudenza preferisce collocare i figli minori presso la madre, ritenuta più adatta a curare le esigenze dei più piccoli quando la coppia si separa.
La Cassazione ha tenuto a rimarcare che non si tratta di alcuna “preferenza” per la donna, ma è anche vero che la prassi dei tribunali segna una netta inflazione in favore di quest’ultima, se non una totalità.
La collocazione dei figli presso il padre avviene in casi residuali, quando la madre viene ritenuta inidonea e di pregiudizio per la loro crescita sana.
Il che conferma quanto appena detto: il giudice prima verifica l’attitudine della donna e, se non dovesse sussistere tale presupposto, accerta le capacità dell’uomo, con collocazione dei minori presso di lui.
Una recente ordinanza della Cassazione è l’ulteriore prova di quanto abbiamo appena detto.
Secondo la Corte, infatti, il minore può essere collocato presso il padre quando la madre impedisce, facendo ostruzionismo, la costruzione di un solido legame affettivo fra i due.
In tema di provvedimenti riguardanti i figli, la scelta del genitore collocatario viene fatta tenendo solo conto dell’interesse del minore: è questo il criterio esclusivo di orientamento delle scelte affidate al giudice.
A riguardo, la Corte ha ripetutamente precisato che il giudizio da compiere in ordine alla capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione non può in ogni caso prescindere dal rispetto del principio della bigenitorialità, nel senso che, pur dovendosi tener conto del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della loro personalità, delle consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che ciascuno di essi è in grado di offrire al minore, non può trascurarsi l’esigenza di assicurare una comune presenza dei genitori nell’esistenza del figlio.
Solo questa è idonea a garantire alla prole una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, e a consentire agli stessi di adempiere il comune dovere di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione del minore.
Così il giudice può disporre la collocazione dei figli presso il padre al fine di assicurare il recupero del rapporto con quest’ultimo, pregiudicato da una lunga interruzione dovuta all’atteggiamento ostruzionistico e di rifiuto manifestato dalla madre nei confronti dell’ex.
Non sono rari i precedenti in cui i giudici hanno ritenuto di dover assegnare i bambini al papà nel momento in cui la madre tenta di ostacolare il diritto di visita o prova a metterli contro la figura paterna.
La cosiddetta sindrome dell’alienazione parentale, se anche non pacificamente riconosciuta dalla scienza medica come un’effettiva patologia psicologica, è comunque un dato di fatto che il giudice deve considerare e osservare sulla base dei comportamenti tenuti dai minori.
E siccome ogni bambino ha diritto a crescere con entrambi i genitori e a mantenere solidi rapporti affettivi con essi, la collocazione può essere modificata laddove uno dei due non consenta il costituirsi di tali relazioni e anzi le ostacoli.
È anche vero che la modifica del provvedimento di collocazione dei figli non deve essere considerata come una punizione, una sanzione nei confronti del genitore “pericoloso”: lo scopo del tribunale deve infatti essere sempre quello di tutelare i minori.
Ne consegue che se questi ultimi hanno ormai consolidato il rapporto con la madre, per quanto colpevole, il giudice non potrà revocarle l’affidamento ma potrà tuttalpiù ordinare degli incontri con i servizi sociali in modo da recuperare il rapporto con il padre.
In conclusione, quindi, resta evidente come la preferenza alla figura materna sia effettiva nel nostro Ordinamento; questo, però, non deve essere un deterrente in evidenti casi di ostruzionismo ai rapporti padre-figlio ove, il padre, deve sentirsi “forte” nel voler (dover) proseguire e coltivare un sano rapporto costante e continuativo con il figlio, rivolgendosi ad un avvocato per far valere i propri diritti!