Responsabilità Genitoriale
Le regole della Responsabilità Genitoriale valgono per i coniugi (o gli ex coniugi) e nello stesso modo tra due persone che, sebbene non sposate, hanno avuto un figlio.
La responsabilità genitoriale è un potere-dovere che nasce ogni qualvolta ci sia un figlio, a prescindere dal fatto che sia nato fuori o all’interno del matrimonio.
Doveri, per esempio di:
- istruzione, educazione, mantenimento ed assistenza morale;
- rispettare le inclinazioni naturali, le capacità e le aspirazioni della prole.
Ma è anche vero che il genitore (madre e padre, sposato o no) vanta dei dirittii:
- crescere la prole insegnando alla stessa i princìpi e le regole della vita;
- rappresentare il figlio e gestire il suoi beni, quando è minorenne;
- affidamento e visita del minore, anche quando i genitori separano le proprie vite o quando viene meno l’accordo tra gli stessi;
- e ben altri diritti, anche nei confronti dei terzi, che discendono dal mero fatto di essere “padre”. Ecco, proviamo ad esaminare qualcuno di questi diritti.
Dovere di Mantenimento.
I doveri dei genitori nei confronti dei figli sono elencati nell’art. 30 Cost. e richiamati pedissequamente dall’art. 147 c.c.
Essi, tuttavia, non esauriscono l’ambito dei doveri genitoriali verso la prole.
In linea generale può affermarsi che i genitori hanno il dovere di provvedere alla cura dei figli, facendo tutto il possibile per soddisfare le loro esigenze e realizzare i loro interessi. Deve tenersi conto del fatto che, nell’ambito del dovere di curare la prole, gli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione costituiscono delle manifestazioni tipiche, traducibili in specificazioni ulteriori, come il dovere di custodire il figlio, evitando che arrechi danno a sé o a terzi, oppure il dovere di correggerlo.
Il dovere di mantenimento deve essere commisurato ai redditi, alla consistenza del patrimonio ed alla idoneità lavorativa e professionale dei genitori; in particolare si ritiene che non possa esaurirsi nelle cure prestate al figlio nella normale convivenza, ma riguardi anche la sfera della vita di relazione e le esigenze di sviluppo della personalità.
L’obbligo di mantenimento, a differenza di quello alimentare, non è limitato al soddisfacimento dei bisogni elementari di vita, ma comprende anche ogni altra spesa necessaria per arricchire la personalità del figlio; non è subordinato allo stato di bisogno ma discende automaticamente dalla posizione del singolo all’interno della famiglia, a prescindere da qualsiasi altro presupposto,
Il genitore che volesse essere esonerato da questo obbligo deve dimostrare, oltre alla mancanza di mezzi, anche l’incolpevole impossibilità di procurarseli.
Questo dovere grava su ciascun genitore, il quale dovrà contribuirvi in proporzione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro, professionale o casalingo.
Il dovere di mantenimento non viene meno con il raggiungimento della maggiore età da parte del figlio, ma si protrae fino a quando il figlio stesso abbia raggiunto una propria indipendenza economica, ovvero versi in colpa per non essersi messo in condizione di conseguire un proprio reddito.
Diritto di affidamento e di visita
Per l’affidamento dei figli, sia che si tratti di coppie sposate che di conviventi, i figli, di regola, sono affidati ad entrambi i genitori e, questo, a favore del principio della bigenitorialità, che impone pari diritti-doveri in capo ai genitori di mantenere un rapporto sano e continuativo col figlio nonché di agire ed interagire per la loro educazione.
Solo in rari, rarissimi e speciali casi (ad esempio, tossicodipendenza, alcol dipendenza, pedofilia ecc.), il tribunale dispone l’affido esclusivo, cioè da esercitarsi da un solo genitore. In questa ipotesi, l’altro genitore non è “spogliato” dal potere-dovere sul figlio ma si trasforma in dovere di vigilare sui diritti del figlio, di educazione, assistenza e istruzione, nonchè della bigenitorialità..
Quindi, è nell’interesse superiore del figlio: non esiste alcuna differenza tra figlio legittimo (cioè, nato all’interno del matrimonio) e figlio naturale (cioè, nato fuori dal matrimonio), non c’è posto neppure per la differenza tra padre legittimo (cioè, il padre coniugato con la mamma del piccolo) e padre non sposato.
Tanto è vero ciò che, ad esempio, nel caso in cui il tribunale debba decidere, all’interno di una coppia non sposata né convivente, a chi affidare il figlio, non potendo applicare l’affidamento condiviso perché, magari, a titolo esemplificativo, la madre è alcolizzata, può ben stabilire l’affidamento del figlio al padre non sposato, non esistendo alcuna norma ostativa a tale decisione.
Importante comprendere che il concepimento non si riduce a fatto meramente materiale, la nostra carta costituzionale obbliga i genitori, anche naturali e senza distinzione alcuna sulla natura del vincolo che li lega, ad assistere materialmente e moralmente la prole, dunque un obbligo non meramente patrimoniale ma esteso, come è ovvio, alla assistenza educativa.
Una particolare ipotesi di responsabilità a carico del genitore può ravvisarsi nell’ipotesi in cui questi, non essendo affidatario della prole, ometta di esercitare il diritto di visita, che costituisce lo strumento giuridico attraverso il quale garantire la sussistenza del rapporto tra i figli e il genitori non affidatario.
Il coniuge separato ha, quindi, diritto di vedersi assicurata una sufficiente possibilità di rapporti con il figlio affidato all’altro coniuge, al fine di essere in grado di guadagnarsi l’affetto ed il rispetto del figlio stesso.
L’esercizio del diritto di visita del genitore non affidatario non è solo facoltà ma anche dovere, da inquadrare tra le posizioni dei componenti la famiglia e nella solidarietà che deve legarli nel gruppo
La responsabilità di un genitore nei confronti del figlio può sussistere anche nell’ipotesi in cui impedisca, ostacoli o comunque non agevoli i rapporti dello stesso con l’altro genitore, perpetrando il più delle volte la fattispecie di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, prevista e punita dall’art. 388, comma 2, c.p.
Diritto al Congedo Parentale
Il congedo parentale è quel periodo in cui è possibile, per la madre e per il padre di un minore, di astenersi dall’andare a lavorare.
È un congedo obbligatorio, vale a dire che è un vero e proprio diritto (che in legge si chiama, più tecnicamente, “diritto potestativo”) che mamma e papà, purché lavoratori dipendenti, possono esercitare.
La normativa, in pratica, prevede per le nascite o le adozioni o gli affidamenti, di poter usufruire di alcuni giorni, in modo continuativo ma anche frazionato, entro il quinto mese di vita del piccolo che entra in famiglia.
Sia la madre che il padre possono astenersi dal lavoro, al fine esclusivo di occuparsi direttamente del minore che è entrato in famiglia per nascita, adozione o affidamento, benché retribuiti con indennità dall’INPS.
Il diritto di congedo parentale del padre è autonomo rispetto a quello della mamma e spetta anche se l’altro genitore non ne ha diritto: quindi, l’uomo può usufruirne anche se la madre del piccolo è una casalinga oppure una lavoratrice autonoma.
L’assegno per il nucleo familiare
L’assegno per il nucleo familiare è un contributo dell’INPS per aiutare economicamente le famiglie (sposate o meno) che hanno dei figli, quando hanno delle difficoltà.
La richiesta deve essere fatta dal genitore che convive col figlio e che, comunque, rientra in una fascia di reddito bassa.
Come anticipato, la domanda di pagamento dell’assegno per il nucleo famigliare può essere avanzata:
- dai genitori coniugati;
- dai genitori non sposati ma che convivono;
- dai genitori non sposati e anche non conviventi;
- dai genitori, sposati o non sposati, conviventi o meno, anche se uno di essi abita all’estero.
In tutti questi casi, l’assegno viene concesso purché sia rispettato lo scopo della norma che è quello di aiutare i genitori, che si trovano in difficoltà economiche, a mantenere la prole.
Detto assegno può essere richiesto da uno dei due genitori senza che il reddito dell’altro possa avere alcun rilievo. Anzi, questa circostanza dovrebbe anche permettere l’aumento dell’importo della prestazione perché, senza il cumulo dei redditi, quello del richiedente sarà certamente più basso.